
Nella mitologia greca, le tre donne di origine divina che stabilivano il destino e la fine degli uomini erano le Moire – che successivamente per i Latini assunsero il nome di Parche ; il loro compito era quello di tessere, filare e tagliare il filo della vita degli uomini.
Insieme, forgiavano il destino degli esseri umani che neppure gli dei potevano cambiare, ed anche i loro nomi avevano un significato specifico:
Cloto, la più giovane e associata alla nascita, era colei che appunto filava lo stame della vita.
Lachesi (dal greco “colei che assegna la sorte”), girava il fuso: stabiliva infatti quanto filo spettasse a ogni uomo e decideva le sorti della vita che stava filando, usando lo stame bianco misto ai fili d’oro, per indicare i giorni felici e lo stame nero misto sempre a fili d’oro, per indicare i giorni di sventura.
E infine Atropo (“l’inevitabile”), la più vecchia, che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile ed inflessibile.
La lunghezza dei loro fili poteva variare, esattamente come quella della vita degli uomini.
A fili cortissimi corrispondeva una vita assai breve, come quella di un neonato, e viceversa per quelli interminabili.
Si ricorda ad esempio che Sofocle, uno dei più longevi autori greci (90 anni), avesse avuto in sorte un filo assai lungo.
Le tre donne erano spesso ritratte dall’aspetto di vecchie, che dimoravano nell’Ade, il regno dei morti.
Il sensibile distacco che si avvertiva da parte di queste figure e la loro totale indifferenza per la vita degli uomini, accentuava e rappresentava perfettamente la mentalità fatalistica degli antichi greci.
Per i quali non c’era risurrezione o ritorno in vita dopo la morte, se non successivamente e nel finire della loro civiltà, quando nel frattempo, erano intervenute contaminazioni religiose straniere.
In questo ultimo periodo della mia esistenza, mi sono chiesto anch’io quanto sarà lungo il mio rocchetto di filo, e quanto si sia divertita Lachesi, a imbastardire tutto col suo filo nero del cazzo, una esistenza che invece Cloto, aveva filato fino ai miei 55 anni, fine e brillante.
Pertanto a questo punto non mi resta che augurarmi che Atropo si svegli il più tardi possibile dal torpore degli anni e che anzi si prenda un bella demenza senile, che le faccia dimenticare pure l’utilizzo delle forbici che ha in mano.
Tutto sta a raccomandarsi al famoso santo napoletano d’adozione, Sant’Antonio abate, quello del porco, con una piccola modifica alla filastrocca che lo riguarda : “con le scarpe ricamate, col vestito di velluto, non le far trovare, quello che ha perduto !”.