Rivoglio il ritardo!

Vi ricordate gli orologi nel taschino ?
Quelli che vediamo ostentati con vanità dai nostri avi, nelle vecchie foto impolverate in cantina?
O gli orologi a carica, i vecchi Omega, Longines o Zenith che i nostri genitori e nonni, ci hanno lasciato in eredità dei loro pochi e modesti ricordi di famiglia?
Erano tutti orologi “approssimativi” ed era d’uopo rispondere a chi chiedeva l’ora : “Dovrebbero essere circa … le tre di pomeriggio” anche se erano le tre e un quarto o le due e quarantacinque.
Non esistevano le 24 ore.
Ce n’erano soltanto 12 e andavano bene a tutti.
Un tempo impreciso, di “circa e di quasi”.
Quando nei paesi si facevano scommesse al bar, su chi era il più sincronizzato con la campana del Mezzogiorno.
Dove il ritardo (o l’anticipo) era vissuto bene, con cristiana comprensione e senza troppi patemi.
Da quando invece Casio e gli asiatici (sempre loro), hanno iniziato a scandirci il tempo con i cristalli liquidi e i numeretti in trasparenza, stiamo attenti pure al decimo di secondo.
E tutto ci dà ansia.
Io ad esempio, ho una sveglia che proietta l’orario al soffitto, che incombe tutta la notte con il suo countdown alla sveglia mattutina, e che scandisce le nostre pipì notturne con compiacimento.
A complicare tutto sono venuti poi i cellulari fac-totum, con l’orario stampato in alto e la loro precisione cinese (nella quale hanno soppiantato pure gli svizzeri).
Un nemico giurato del ritardo e del “volemose bene” romano.
Quella grossolanità resa celebre dai film del secondo novecento con Maurizio Arena e Renato Salvatori, quando gli autobus e perfino i treni, aspettavano i ritardatari in stazione e quando si mangiava col sole a picco e col sole al tramonto.
Più o meno.
Io da giovane ero un ritardatario cronico, e fino alla maggiore età non portavo neanche l’orologio, ero quel che si chiama un “chiedone”, uno di quelli che rompono agli altri, in qualsiasi momento della giornata, per sapere l’ora.
Oggi invece sono uno svizzero. Rimetto tutti gli orologi di casa ai cambi dell’ora legale, con precisione assoluta, uso un EcoDrive al polso, che cattura l’energia della luce, grazie a speciali celle solari e la trasforma in energia cinetica, alimentando così il movimento perpetuo dell’orologio e rompo se per caso il traffico mi fa tardare qualche minuto ad un appuntamento.
Ma in questo modo la vita, sembra tutta uguale, un incessante tic tac sempre identico a sé stesso.
Per questo rivoglio il cucù con la contadina che esce col bel tempo o il pendolo di mio nonno, che ogni tanto si ferma per la carica che finisce.
Rivoglio il ritardo.
Rivoglio la campana di mezzogiorno, rivoglio l’orologione sul palazzo dell’InaCasa su Via Tuscolana, che si vedeva da Frascati e che regolava l’orologio di tutti, per fede e per credenza. Rivoglio una vita fatta per “pressapoco”, che si faccia vivere con calma, senza scadenze perentorie e senza scuse per aver fatto tardi.

25 settembre.

Eccolo il mio compleanno.
Stavolta di sabato e sono 58 pippi.
Per fortuna stavolta, sto bello tranquillo a casa mia, coi miei cari.
Un pranzo tra noi, alla buona, con pensieri carini, tante foto e abbracci con Fabiola, mia figlia Vanessa e la sua bella famigliola.
La fortuna di avere vicino ancora i miei suoceri Anna e Mario (che l’altro ieri in pizzeria ha spento la sua 91° candelina), i giochi in giardino con mio nipote Lorenzo, i sorrisi innocenti della piccola Eleonora, che festeggia con me il suo quarto mesiversario.
Sembra banale, ma credetemi non è così.
La “normalità” che a volte viene grossolanamente equivocata con la “banalità” è al contrario una condizione paradisiaca, una “bolla” di karma positivo, che mio genero Claudio, immagina chiusa intorno al nostro piccolo nucleo familiare.
Uno stare bene interno, che sentiamo nel cuore, che é solo nostro e che vogliamo condividere con chi ci ama davvero e a chi vogliamo bene da una vita.
Non mi occorre il viaggio intercontinentale o la crociera di Love Boat, non mi servono gli Auguri di Vip o personaggi importanti, non necessito di regali o premi, non c’è vincita che mi possa smuovere da dove sono, dalla mia bolla.
Mi cibo solo di tranquillità, di salute mia e dei miei cari, di sole, di aria e di libertà.
Se poi a tutto questo ci metti pure un bel piatto di spaghetti allo scoglio, un’oratina fresca di giornata ed una bella fetta di crostata al limone, ringrazi Dio e fai cin cin con tutti.
Tanti Auguri Vito.

Il Battezzo.

Oggi è toccato a mia nipote Ely.
Lei tutta elegantissima in un completino bianco di pizzo, con le scarpette da ballerina lucide nere, che erano di mia figlia Vanessa, ed una abbronzatura ancora smagliante.
Noi, io e mia moglie, trafelati in Chiesa alle 16.55, col sacerdote a farci la ramanzina, nonostante fossimo pure in anticipo e con il resto dei parenti che sono arrivati al gong di chiusura cerimonia.
Perché col nuovo corso di Bergoglio è tutto un velocissimo proforma.
Una autentica toccata e fuga.
Col sacerdote a debita distanza, le mani inguantate di lattice, tutti con le mascherine sul naso e col diacono che stava attento al distanziamento dei pochissimi parenti presenti, una cerimonia scarna ed essenziale che più che un Battesimo, sembrava di essere entrati alla dimostrazione dell’ultimo modello del Folletto, in una corsia d’ospedale.
Ho pensato a quei poveracci che si sposano in questo periodo, alla loro cerimonia lampo e al book fotografico, coi parenti “mascherinati”, che a distanza di tempo nessuno riconoscerà più, come Fabris a Compagni di Scuola di Verdone.
Fortuna che poi la Festa è stata allegra, spensierata, bella e partecipata, con tanti amici e parenti. Dove rustici, pizzette, casarecce al pesto, vitello tonnato e pasticcini vari hanno guadagnato il proscenio al posto dei soliti discorsi sanitari di questo periodo.
Tutti nel mio giardino attrezzato e addobbato per l’occasione, con festoni, palloncini, tavolini imbanditi con ogni ben di Dio (da “Dolce e Salato”), e per finire una bella sessione di karaoke, dove hanno cantato tutti i volontari (o come al solito) i coatti dai prori familiari.
Proprio una bella festa, con un tempo bellissimo, dopo un venerdì 17 settembre che ha fatto esplodere i chiusini di Roma ed allagato alcune fermate della Metro (come sempre), per la pioggia incessante.
La mia fidanzata piccola lo meritava davvero, e mia figlia ha fatto bene a forzare i tempi e a stabilire la data. A prescindere.
“Cosa fatta, capo ha !”
Quindi tanti, tanti sinceri Auguri Eleonora, e citando il bigliettino di mia moglie …

“La più brillante tra le stelle, soffice e candida come la neve, forte e robusta come una quercia.
In ricordo di un giorno specialissimo, perché speciali sono tutti i giorni da quando sei venuta al mondo, infiniti auguri per il tuo Battesimo, con Amore immenso i nonni Vittorio e Fabiola. “

La vera natura del Green Pass.

Il Green Pass è un termine in prestito dall’inglese che significa “lasciapassare verde”.
È di fatto un’attestazione digitale introdotta per la prima volta in Israele, a marzo 2021, durante il terzo confinamento della pandemia di COVID-19.
Quest’attestazione digitale, consente a chi ha ricevuto il vaccino contro il SARS-CoV-2, un tampone negativo o la guarigione dalla malattia, di avere accesso alle attività commerciali, agli uffici, alle scuole, agli aeroporti, ai treni, alle piscine, alle palestre, ai pubblici esercizi e agli alberghi.
Si è scelto il nome inglese “Green Pass” in riferimento alla luce verde del semaforo, che indica la possibilità di proseguire il cammino e proprio come un impianto semaforico, ora prevede anche il colore rosso, per stoppare chi ne è sprovvisto o chi ce l’ha scaduto.
In Italia ha fatto la sua comparsa il 22 aprile 2021, con il decreto legge n. 52, convertito nella legge n. 87/2021, a firma Mario Draghi, e la sua validità è stata estesa fino al mese di dicembre 2021, termine ultimo (per ora) dello stato di emergenza nazionale, dopo essere stato gradualmente esteso a molte attività private e servizi pubblici, con successivi decreti legge (nn. 105 e 111 del 2021).
In realtà dello stato vaccinale e della salute pubblica, a chi ha ideato e realizzato l’app e tutto il supporto informatico (hardware e software) agli Stati che lo stanno attuando, interessa un fico secco.
Lo scopo principale è quello del controllo, al momento dei vaccinati e dei non vaccinati, ossia degli “allineati” e contestualmente, per differenza, dei non allineati, quelli che Veronica Roth nella sua trilogia definiva : “Allegiant e Divergent”, ma in seguito di tutta la popolazione mondiale.
Si sta spingendo verso il 100% della vaccinazione in tutti gli Stati, perché in realtà è il 100% del Green Pass che importa.
Quando tutti avranno il QrCode, che possiamo identificare nel “marchio della bestia”, allora si potranno sfruttare a pieno tutti gli innumerevoli utilizzi di questa diavoleria, per ora solo potenzialmente pericolosa.
Con il passaporto verde si potranno infatti documentare dati anagrafici, stato sociale, reddito, patrimonio, stato sanitario, idee e indirizzi politici, preferenze sessuali, devianze, vizi e virtù, con una connessione perenne, garantita 24 ore al giorno, con centrali operative che monitoreranno tutti, in ogni parte del mondo.
Non sarà necessario avere carta nel portafoglio di nessun tipo, né di identità, né tanto meno di denaro contante, che fin d’ora viene già segnalato, perseguito e penalizzato, con una spesa superiore ai mille euro.
Ho già avuto modo in un precedente articolo del blog di trattare del “Social Credit System” cinese.
Ecco chi sta muovendo le sue pedine in questi mesi, ha quel modello davanti agli occhi.
Un enorme gregge di pecoroni col cellulare inserito nel corpo, felice di sentire musica ad ogni ora, di essere ottenebrato forever e di obbedire ad ordini continui, senza neanche accorgersene.

La costanza italica.

I latini dicevano “Gutta cavat lapidem”, ovvero “la goccia scava la pietra”, e intendevano dire che con 3 virtù come “pazienza, perseveranza e tenacia”, è possibile raggiungere anche i risultati che a prima vista sembrerebbero impossibili.
Thomas Edison, altro fautore della tenacia, soleva dire che ”molti fallimenti nella vita, sono di persone, che non si rendono conto di quanto fossero vicine al successo quando hanno rinunciato !“.
Ecco l’italiano per sua natura è poco paziente, poco perseverante e per nulla tenace.
Abbiamo perso guerre, rinunciato a colonie e siamo diventati lo zimbello mondiale, per aver sempre avuto problemi di tenuta e aver infranto, dopo poco tempo, ordini e disposizioni. Di qualsiasi genere.
Non siamo come gli alleati teutonici, che hanno preferito resistere fino alla distruzione completa di Berlino.
Noi dopo il primo “buumm”, abbiamo sempre tirato su la bandiera di resa.
Ma non solo per codardia, moltissimo per esserci stufati delle difficoltà, esauriti dall’applicazione.
Ieri sera, alla festa dei 18 anni di mia nipote, dopo un approccio serioso e tedesco, quando all’ingresso veniva richiesto a tutti di mostrare il famoso “passaporto verde”, ho notato che passata la scrematura iniziale, chi era al controllo, era andato a fare le crepes con la cioccolata. Con il risultato che a quel punto potevano entrare porci e cani.
Anche nei ristoranti dove il divieto di mangiare dentro è già molto violato oggi, con i tavoli fuori e col bel tempo … figurarsi quando pioverà, al gelo d’inverno, e si rischierà di avere il locale semivuoto, ad eccezione soltanto dei diligenti vaccinati.
O perché molti tentennano già alla seconda dose, figurarsi dalla terza in poi.
Ecco perché stanno accelerando, perchè si rischia di vedere un film già visto.
Con norme, prescrizioni, sanzioni e vessazioni, del tutto inapplicate, perché chi dovrebbe rispettarle o vigilarne il rispetto, si è già rotto le palle.
Al Governo lo sanno che se si allungano troppo i tempi, si scopre l’inganno e qualcuno potrebbe chiedergli il conto (salatissimo),di questo lungo periodo di non lavoro, infezioni e morti a gogò.
Pertanto anche se “Mala tempora currunt – corrono brutti tempi”, come dicevano i latini, è anche vero che “Omnia fert aetas – il tempo porta via tutte le cose” come scrisse il sommo Virgilio nelle sue Bucoliche.

Resoconto di un’estate.

Un estate calda, sotto tutti i punti di vista, con l’anticiclone delle Azzorre “perso” in qualche punto dell’Oceano Atlantico e con “Lucifero”, quello Africano, protagonista assoluto, con ondate di calore e afa sempre più soffocanti, specie al Sud dove si boccheggiava pure in spiaggia.
Una estate coi suoi tormentoni musicali, come tutti gli anni, con Loca, Pistolero, Movimento lento, Malibù, Boca, Cinema e … Mille della rediviva Orietta Berti, con Lauro e Fedez.
Siamo tornati al ristorante, con tutti i limiti della circostanza, e abbiamo assistito alla stentata ripresa di qualche attività commerciale, a differenza dell’estate precedente, quella del 2020, che fu preceduta da 70 giorni di lockdown assoluto e che non partì proprio.
Perché questa è stata anche “l’estate in sicurezza”, quella dei peraccini a gogò.
Al mare, ai monti, in camper, nelle discoteche, ai mercati, ovunque ci si trovasse per gioco, vacanza o per lavoro.
C’è stata pure la parentesi “ridanciola e spensierata” degli Europei di calcio e delle Olimpiadi giapponesi, in cui ci hanno fatto vincere tutto il possibile, eppoi con una delle più classiche inversioni a “U”, siamo tornati col morto sulle spalle, perché anche in questi tre mesi, di giugno, luglio e agosto, in spiaggia, in montagna e in tutte le case italiane, l’argomento principe è stato sempre e solo il Covid, tirato a lucido e rampante, con la sua nuova variante Delta ; su come non prenderselo, su come non trasmetterlo, su come non schiattare ma, e soprattutto, su quale intruglio era meglio farsi iniettare, perché superiore (o meno nocivo) degli altri.
Con tanto di prenotazioni e disdette, fino a conquistarsi il cocktail preferito.
Ma ricorderemo questa estate anche per il passaporto verde.
Il certificato cartaceo o digitale, che ha diviso (e continua a dividere) in due, gli oltre 60 milioni di pecorelle e abbacchi nostrani.
Per il momento è green, verde, ma andando avanti nelle punturine al deltoide, non è detto che cambi colore in base al percorso e ai buchi ricevuti e certificati.
Come le cinture dello judo.
Per cui ci saranno passaporti bianchi, gialli, arancioni, verdi, blu, marroni, fino ad arrivare a quelli “neri” per i maestri-zombie della siringa.
Quelli che avranno mutato in ragione della scienza il proprio Dna, l’Rna, i globuli rossi, i bianchi, e chi più ne ha, più ne metta.
Viva l’estate, Viva il mare, Viva la montagna … ma al prossimo Ferragosto … ci saremo ????

Punti fermi.

Capita di girarsi indietro con la mente e ricordare i punti fermi della nostra infanzia.
Ad esempio i negozi del nostro quartiere, dove trascorrevamo più tempo libero e che utilizzavamo come laboratori culturali e non solo.
Non necessariamente per acquistare qualcosa, a volte soltanto per sbirciare, per curiosare, per “cazzarare”, l’attività più appagante dei pomeriggi, dopo lo studio.
Il primo che mi viene in mente era una cartoleria, prima a due porte e in seguito a tre, che avevo proprio sotto casa.

L’insegna per me era un enigma : “Schiattone”.

Non sapevo se era il cognome del proprietario o qualche tipo di ninnolo o cartoncino particolare che vendeva.
Era una bottega a conduzione familiare, collocata strategicamente proprio di fianco al complesso scolastico della Quinto Ennio, dove potevi trovare di tutto : dalla merceria alla cartoleria, dalle cedole scolastiche ai libri usati, dai fumetti dei supereroi alle occasioni e ai ninnoli che acquistava e rivendeva al momento, a prezzi di realizzo.
Poi aveva le “pesche”, cartocci confezionati a 100 lire, nei quali a sorpresa infilava qualche regalino per i più piccoli.
Mi accompagnò per tutta la mia carriera scolastica, ed anche quando morì il proprietario, ancora giovane, la moglie e il figlio, poco più che adolescente, tennero aperto l’esercizio per anni, tanto da essere un punto fermo della via, per molto tempo ancora.
Lì dentro passavo molte ore a sfogliare libri e fumetti, a chiedere e contrattare prezzi, specie sull’usato, e sembrava di essere a casa, con tanti amici e nessuno che si spazientiva o ti metteva alla porta.

Poi ricordo Willy Marcella, in Via dei Salesiani, un negozio enorme, dove potevi trovare intere collezioni di fumetti, rarità e perle preziose, che facevano gola a tutti.

La padrona era una gigantesca odalisca, super truccata, Willy appunto, che dirigeva la baracca e credeva di essere sexy, a tal punto da tempestare le pareti con sue foto e pochi veli.
Su quella via, altra tappa obbligata, era quella della botteguccia sporca e disordinata di Nonno Dario.
Lui la chiamava la “Libreria” in realtà era un magazzino di libri, usati e non, aperto quando diceva lui, nel quale potevi trovare di tutto : dai gialli agli Harmony, dai fotoromanzi ai romanzi classici, dai fumetti ai “pacchi” di libri che sceglieva lui e scontava quasi a zero.
Ricordo poi la ferramenta di Peppe, davanti la Damiano Chiesa.
Una bottega dove trovavi tutto per bricolage, modellismo e pulizia della casa.

Lui era un personaggio romanesco, alla Gasmann, e trovava sempre il modo di adattare viti, bulloni, e materiali che aveva, a quelli che venivano richiesti. Non andavi mai via senza acquisti, perché aveva sempre la lampadina della scoperta e dell’invenzione pronta.
Poi c’era Rossana, l’unica ancora aperta sulla Tuscolana, dove i miei nonni acquistavano il vino “sfuso”.
Ora è una elegante enoteca, ma quando ero piccolo, vendeva vino e olio nei boccioni di vetro da 2 litri, che si portavano i clienti da casa, incartati nel giornale.
Una menzione particolare infine la merita il magazzino di Cossuto,  all’Appio Claudio, dove in un reparto apposito, potevi trovare tutte le novità discografiche del momento, e dove acquistai il 90% della mia bella collezione in vinile. Tappa che alternavamo a Sound City, sulla Tuscolana, dove arrivavano le primizie americane.
Punti fermi della mia infanzia, dove il tempo si fermava, dove si parlava, si scambiavano idee e pareri, si era felici con poco.
Ci si aiutava se non si arrivava al costo.
Non c’erano mascherine, ci si ammucchiava, ci si tossiva in faccia nei raffreddori invernali, si viveva … semplicemente.
Bei tempi.