“Le mie opinioni sull’euro sono note, ma l’uscita dalla moneta unica non è nel contratto di governo per cui non ci pensiamo nemmeno!”. Così il presidente della Commissione Bilancio della Camera e deputato della Lega Claudio Borghi, dopo che le sue dichiarazioni rilasciate nella mattinata di ieri (“Con una propria moneta l’Italia risolverebbe molti problemi”), avevano contribuito a infiammare i mercati, con lo spread che aveva chiuso sopra i 300 punti. Siamo alle solite. Prima le sprezzanti note contro Bruxelles e contro i burocrati europei, che servono a raspare voti e preferenze alle elezioni e poi, immancabile, quanto deludente, il dietro front per lo spread, per i mercati, per l’inflazione, per il cambio con il dollaro, per gli impegni presi … etc. etc. La stessa coltellata alla schiena che hanno subito i greci da Sipras e suoi accoliti. Ma noi battiamo tutti allo sprint, perchè non abbiamo le dimissioni scandalizzate di un Varoufakis, anzi. Arriviamo addirittura ad inviare come un pacco l’ottantenne Ministro Paolo Savona a Strasburgo in tutta fretta, per genuflettersi pubblicamente : “Non intendo intraprendere alcuna azione contro l’euro, anzi voglio rafforzarlo”. Parole incredibili, pronunciate poche ore fa proprio dal ministro agli Affari europei, il paladino della lira e della nostra sovranità perduta, nell’incontro con gli europarlamentari italiani al parlamento europeo. E’ indubbio che la morsa è stringente e paghiamo un sistema chiuso a cassaforte, ma questa assoluta mancanza di dignità, contribuisce alla disaffezione dalla politica e dall’allontanamento dei giovani dai valori e dagli ideali repubblicani. Non rimpiango gli eroi risorgimentali e i lanciatori di stampelle contro il nemico, ma questo continuo “rompete le righe” ci sta danneggiando come popolo e come nazione. Siamo dei burattini che giorno per giorno, grazie ai propri comandanti, perdono ogni volta una fetta sottile di torta dei propri risparmi, delle proprie convinzioni, delle proprie sicurezze. Pensavo che Berlusconi avesse pagato la sua poca accademia economica e finanziaria e si fosse dimesso avventatamente nel 2011, sulla scorta di errate valutazioni dei suoi consiliori, ma ora che anche eminenti professoroni universitari fanno uguale (se non peggio) alzo le mani. Il dietro front è innato nella cultura italica.